Scritti

Monet e il purè dello scandalo

27 ott 2022
Scritti

Monet e il purè dello scandalo

L'Adige, 26 ottobre 2022

Due giovani attivisti di Last Generation, un gruppo di sensibilizzazione al cambiamento climatico, hanno lanciato una secchiata di purè di patate contro un quadro di Claude Monet, al Museum Barberini di Potsdam, in Germania. Ne hanno scritto i giornali di tutto il mondo, il video si trova facilmente su YouTube. La ragazza della coppia, invitando i politici ad adottare misure efficaci per limitare la crisi ambientale, grida in tedesco ai visitatori attoniti: “Ci sono persone affamate, congelate, c’è gente che muore, siamo alla catastrofe climatica e tutto quello di cui avete paura è la salsa di pomodoro o il purè di patate su un quadro. Io ho paura di quello che dice la scienza e cioè che non saremo in grado di nutrire le nostre famiglie nel 2050”. Un’azione dimostrativa, una clamorosa provocazione.
Metto le mani avanti, non farò la difesa di un danneggiamento, che non chiamo vandalismo per rispetto al popolo dei Vandali, tirati in ballo sempre a sproposito. Propongo invece una riflessione, forse un po’ controcorrente. Conoscevo un signore burlone che chiedeva a tutti i bambini che incontrava: “Va più forte il treno o è più buona la cioccolata?”. Una domanda assurda. Qualunque fosse la risposta, lui, divertito, ribadiva l’indiscutibile alternativa: “Ma va più forte il treno”, oppure “Ma è più buona la cioccolata”. Anni fa su questo giornale raccontavo di un amico conosciuto in una zona povera del Sudafrica, proprietario di una riserva naturale popolata da rinoceronti minacciati di estinzione. Spesso gli chiedevano: “Sono più importanti gli uomini o i rinoceronti? Domanda sbagliata. Tutto è importante, la bellezza, l’intelligenza, la solidarietà. Le priorità sono soggettive, culturali, opinabili.

E veniamo a bomba, una soffice bomba, sul quadro di Monet preso di mira dai giovani attivisti, una tela raffigurante un covone di grano (il pittore francese dipinse venticinque quadri raffiguranti altrettanti pagliai tra il 1890 e il 1891). Domanda: è più importante un quadro a olio o un ghiacciaio? Cosa ha più valore? Entrambi, naturalmente. Solo che questa volta, per attirare l’attenzione sul problema, il quadro ha avuto la peggio. Non è la prima volta. Un paio di settimane fa un altro piccolo commando, alla National Gallery di Londra, aveva imbrattato con minestra di pomodoro “I girasoli” di Van Gogh. Analogo il messaggio: siamo più interessati a proteggere un prezioso dipinto o a “salvare” la Terra? Non si fa. È un sacrilegio. Malati di protagonismo. Non è colpa di Monet se ci sono guerre e fame nel mondo! Questi i commenti di molte persone che scrivono in rete. Altri invece osservano che gli autori del gesto non sono pazzi, anzi, hanno ragione. Non perché tra Monet e la Marmolada che si sta sciogliendo ci sia una relazione. Ma in qualche modo per crearla. Denunciando la noncuranza di chi a livello governativo nega o ignora che il riscaldamento globale sia la conseguenza del nostro impatto sulla Terra. Cioè stigmatizzando un modello economico irresponsabile, improntato alla crescita della produzione e dei consumi (spesso innecessari).La deliberata distruzione di un valore economico, simbolico o morale genera critiche energiche ed energia critica. In tutte le culture questo comportamento esiste e ha una storia, si chiama sacrificio. È un atto tremendo che toglie e dà valore al contempo. È anche l’eccezionale infrazione di un tabù, che di solito (ma non in questo caso) viene ritualizzata socialmente. Certo possiamo condannare, metterci nei panni del miliardario proprietario del dipinto, degli espositori, dei visitatori, eccetera, e dunque dolercene. Ma l’offesa all’opera di Monet sarebbe peggiore e doppia se non generasse pensiero. Sul micro e sul macro. Da una parte un piccolo capolavoro museificato, dall’altra il meraviglioso pianeta brulicante di vita che ci ospita.Lo scandalo di questo fatto di cronaca riflette proprio l’origine del termine greco skàndalon, ostacolo, inciampo. Il purè dello scandalo lanciato da alcuni bad boys dell’ “ultima generazione” è un inciampo sulla strada e sul mito del progresso. Non siamo giusti, né messi tanto bene. Ma ci rimangono sempre gli altri ventiquattro covoni di Monet.

Duccio Canestrini