Scritti

L'illusione della privacy

19 lug 2023

Parliamo di controllo, privacy, spioni.

Scritti

L'illusione della privacy

L'Adige, 13 luglio 2023
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Un tizio che cammina per la strada si ferma di botto e fissa un punto. Guarda qualcosa, ma che cosa? E noi perché facciamo altrettanto? Lo sguardo degli altri trascina il nostro, siamo curiosi di quello che interessa agli altri. Di come sono, di quello che fanno. Più o meno tutti pratichiamo il people-watching. Osservare e sbirciare è irresistibile. Se una mano si posa sul bracciolo del sedile accanto al nostro, guardiamo gli anelli, poi scrutiamo furtivamente la persona e ne valutiamo l’aspetto. Magari sbagliando nel rapido giudizio, ma non importa. Inseriamo il prossimo in una mappa antropologica. Perché abbiamo tutti un catalogo dei tratti somatici e del linguaggio non verbale che fa parte della nostra formazione e della nostra cultura.
Uno sconosciuto sta aprendo un pacco: cosa mai conterrà? La nostra attenzione viene letteralmente calamitata; e più quello impiega tempo a scartarlo, più sale la curiosità. Idem se si vede qualcuno scavare con una vanga, in un prato: cosa cercherà, cosa seppellirà? In treno, ci sforziamo di leggere il titolo del libro che un passeggero sta leggendo davanti a noi (anche se pochi leggono libri in treno, ormai). Persino in automobile incrociandosi la gente si osserva da dietro il parabrezza; per non dire poi al semaforo, quando si ha qualche secondo in più. E se un’automobile ha i finestrini oscurati, cosa avranno da nascondere?Nascono così gli espedienti escogitati per proteggersi da occhiate intrusive. A scuola quando il compagno di classe voleva “copiare”, non autorizzato, bastava una mano per riparare lo scritto dall’invadenza. Ma esistono veri e propri paraocchi, usati in certe postazioni dove la privacy è a rischio, per esempio in banca, al check-in dell’aeroporto e in alcuni sportelli di strutture sanitarie. Si tratta di alettoni per isolare gli spazi di lavoro personali, barriere che non consentono ad altri di spiare ciò che appare sullo schermo di un operatore. Queste cortine laterali oggi sono state sostituite dalle cosiddette pellicole per la privacy, cioè filtri da applicare allo schermo del computer in modo che le informazioni visualizzate rimangano private.
In mobilità, non potevano mancare accorgimenti anti-spia per gli smartphone. Il rapporto che abbiamo con il nostro telefono cellulare è decisamente intimo, è un’appendice del cervello, uno hub di relazioni, uno scrigno di emozioni, un deposito di segreti. La nostra vita è (quasi) tutta dentro questo parallelepipedo intelligente. Il che fa meraviglia e anche paura, beninteso. Perciò chi ci sbircia il telefonino dà fastidio. Ecco dunque in commercio vetri polarizzati che rendono nero il display per gli sguardi obliqui. Così sui mezzi pubblici le persone che ti stanno a fianco non capiranno con chi stai messaggiando, non vedranno il tuo estratto conto, né le foto che stai scrollando. Va da sé, questi vetri speciali sono spesso impiegati dagli adolescenti anche per tagliare fuori i genitori.
Benedetta privacy, tanto invocata quanto palesemente violata. Soprattutto da quando le portiamo sempre con noi, queste protesi di personalità. Il mondo dà per scontato che ogni individuo possegga un’appendice tecnologica, dove stanno i nostri dati, la nostra collocazione, in definitiva dove si annida la nostra identità. Lui, lo smartphone, sappiamo dove si trova. E dove sta lui stiamo noi, contraddistinti da un codice digitale univoco e geolocalizzati. Così il nuovo sistema nazionale di allarme pubblico governativo, IT-alert, fornirà informazioni su eventuali pericoli, dando per scontato che tutti ne abbiano uno in tasca. Un dispositivo che dischiude i propri favori a chi fornisce ragguagli anagrafici e impronte digitali. Ovviamente a disposizione di eventuali controlli, per la nostra “sicurezza” e, come rischioso corollario, a scapito della nostra riservatezza e delle nostre libertà.
Benedetta, illusoria, privacy. Altro che pellicole anti-guardoni. Crediamo che il cellulare sia solo nostro, privato e blindato, ma in realtà è un traditore. Che spiffera informazioni non tanto a chi ci sta accanto, ma a chi da remoto ne può monitorare i flussi.
Naturalmente c’è chi sostiene che l’assuefazione all’uso dello smartphone inibisca l’introspezione, in altre parole che non sappiamo più stare soli con noi stessi. Ma questa è un’altra storia.