Scritti

Se questo è un uomo: boscimane

9 lug 2020
Scritti

Se questo è un uomo: boscimane

Airone, speciale Sudafrica 1994

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Stanno così fermi che sembrano finti. La luce del tramonto s'ingolfa liquida nel canyon e satura a meraviglia la loro pelle giallobr una. E' il clou della giornata. I boscimani di Kagga Kamma posano sull'orlo del baratro per un drappello di turisti scaricati da un camion militare. Kagga Kamma. Nella loro lingua, piena di clic e di incredibili schiocchi, questo è "il posto del'acqua". Per quattr ocento secoli qui nel deserto del Karoo i loro antenati hanno disegnato antilopi rosse sulle rocce gialle. Poi, tre secoli fa, venne ro scacciati dai nuovi coloni a suon di fucilate. Un signore inglese con gli occhiali d'oro s'indigna: "Stanno facendo gli animali d a spettacolo, è disgustoso!". E soggiunge con amarezza:"Questa è davvero la loro estinzione!".
Kagga Kamma, ovvero l'etnoshow. L'emozione di un incontro unico al mondo, ma anche l'imbarazzo e la costernazione per la visita a uno zoo umano. La riserva naturale sta 260 chilometri a nord di Città del Capo, tra Ceres e Calvinia. Trentotto boscimani, venticinque persone nello staff, mille turisti al mese. Il proprietario, Peter De Waal, tre anni fa ha inteso trasformare alcuni relitti a ntropologici in attrazione turistica. Oltre che per preservarne l'integrità. E' una scelta inquietante, un nodo da sciogliere. Che d ivide e fa discutere i viaggiatori, la sera, nel ristorante della riserva, davanti al fumante spezzatino di antilope con patate.
E' vero che questi boscimani di dialetto /Omani, provenienti dal distretto di Mier, vicino al Parco Gemsbok Kalahari, prima se la passavano malissimo. Lassù, ai confini con il Botswana, i loro fratelli si degradano e si ubriacano fino alla morte. Le ragazzine boscimane si prostituiscono. Gli uomini vendono la forza delle braccia per un piatto di mais a mezzadri violenti e senza scrupoli. Qu i è tutta un'altra storia. La famiglia di David, il portavoce (non il capo, perché i boscimani non hanno mai espresso una gerarchia sociale) riceve e intrattiene i visitatori percependo un piccolo stipendio. Gli adolescenti mostrano antiche pitture rupestri. Le do nne confezionano collane con rotelline di uova di struzzo e comprano con il ricavato zucchero e caffè. Gli uomini cantano e danzano, per la verità ridendo di se stessi, con le tradizionali crisalidi secche legate alle caviglie a mo' di sonagli. Gira anche una pipa fatta con un femore di cane e riempita di canapa indiana. Dopo qualche generosa boccata, viene il numero del tiro al bersaglio con l'arco e le frecce, una scatola di cerini a cinque passi. Sbagliano mira i boscimani sballati, e sbagliano mira le tedesche cui vien e offerto l'arco. Vicendevoli e allegre pacche sulle spalle, mentre i mariti documentano l'evento.

Certo c'è un prezzo da pagare per tutto questo, oltre alle tariffe del lodge, ed è la vergogna. Ma non lo paga solo questa comun ità di trentotto boscimani. Lo paga l'intera umanità, perché la questione in ballo è molto più grande, è bioetica. Intanto però quat tro bimbi sono già nati a Kagga Kamma, verrebbe da dire "in cattività". Il che non è disprezzabile. Oggi i boscimani sono circa 90.000: 45.000 stanno nel deserto del Kalahari (grande come la Francia), nel Botswana orientale e nordoccidentale e tra le paludi dell'Okavango; 33.000 vivono in Namibia (ma dispossessati della terra); 8.000 stanno in Angola; altri 2.000 tra Zambia e Zimbabwe, e altrettanti vennero "importati" in Sudafrica dopo il loro impiego come mercenari nella guerra contro gli indipendentisti namibiani della Swapo. Il termine boscimane è assai rozzo, deriva dall'inglese bushman che a sua volta viene dal l'olandese boschjesman, cioè "uomo selvatico"; gli Ottentotti invece esempio li chiamavano San, i bantu Thwa, e loro stessi si defin iscono Ju, che significa semplicemente "gli uomini" (giustamente, visto che quarantamila anni fa è probabile che in giro non ce ne f ossero altri che si potessero chiamare tali).

Quando si parla di boscimani occorre tenere a mente almeno tre cose. Primo, i "puro sangue" non esistono più e del resto come gru ppo etnico non è mai stato omogeneo (parlano anche lingue diverse). Secondo, i boscimani non erano primitivi, casomai lo sono divent ati al giorno d'oggi. Prima dell'urgenza di nuove e aliene necessità (alcol e denaro, per esempio) avevano sviluppato una una cultur a e una tecnologia che soddisfacevano completamente i loro bisogni. Terzo, da duemila anni a questa parte, cioè da quando i primi ne ri scesero dall'Africa centrale oltrepassando il fiume Limpopo, i boscimani hanno sempre commerciato pacificamente pelli di antilope , venendo a contatto con decine di etnie diverse. E i bantu (con i quali si sono anche mescolati) li tengono tuttora in alta conside razione per le loro pratiche magiche, mediche e religiose. Quella dell'isolamento dei boscimani è dunque una favola. Dal XVII secolo in poi, inoltre, sono forse il gruppo etnico più studiato della Terra. Purtroppo quasi sempre nel pregiudizio che rimangano i primi tivi cacciatori raccoglitori di un tempo, non nel contesto dell'attuale cambiamento sociale. Non sono mancati gli antropologi che ha nno costruito carriere accademiche sulla scoperta dell'"ultima tribù di selvaggi boscimani". Né registi come James Uys, il quale ha consegnato al mondo del cinema, con il film "The Gods must be Crazy" (tradotto da noi "Ma che siamo diventati tutti matti?") l'ultim a spensierata mistificazione. "Ci sono due generi di film, ha dichiarato in proposito il boscimane Tsamkxao Oma figlio di N!oa (il simbolo e il punto esclamativo corrispondono a speciali schiocchi di lingua) all'uscita dalla proiezione del film di Uys nel cinema di Windhoek, in Namibia. "Uno ci mostra come tutta l'altra gente, con progetti e molte cose da fare. Questo ci aiuta. L'altro genere ci dipinge come animali, e serve le mani di quelli che ci strappano la terra".

E' un fatto che i boscimani abbiano sempre rappresentato per noi bianchi una curiosità zoologica. Sia nell'ambiente delle fiere e dei circhi europei, dove vennero tradotti ed esibiti tra l'Ottocento e il Novecento, sia nelle dotte dissertazioni dell'antropologia classica, sia nelle parole ufficiali di funzionari come Denys Reitz, il ministro sudafricano degli Affari indigeni che nel 1941 dichiarò:"Lasciare che si estingua una simile razza sarebbe un crimine contro la biologia, poiché essa evoca il babbuino più che il babbuino stesso (...) I boscimani fanno parte della fauna del nostro Paese". Roba di mezzo secolo fa. Ma proprio in questi ultimi ci nquant'anni, dopo millenni, è stato il tracollo. Come mai? Certo, il vecchio luogo comune dei boscimani "piccoli esseri naturali", liberi e incontaminati, che va di pari passo con l'allarme dei media per l'imminente scomparsa di una razza unica al mondo, non è ca suale né innocente. Ma è funzionale alla prevaricazione dei loro diritti umani. Alla fine si trasforma paradossalmente in un sopruso , che porta alla loro "inevitabile" estinzione. Inevitabile. E perché mai? Basterebbe evitarla.

Kagga Kamma non è il solo luogo dove si commercializza l'immagine dei boscimani, appagando quello che il settimanale statunitens e Time ha recentemente definito una forma di "voyeurismo postcoloniale". Dagli anni Ottanta, i tour operator portano tur isti a Tsodilo Hills, nel Botswana nordoccidentale, per mostrare sia gli antichi affreschi rupestri, sia bande di "selvaggi bosciman i". Poco più a sud, all'ingresso del villaggio di Ka/Gae, nel distretto di Ghanzi, qualcuno si è scocciato, e i turisti ora vengono volantinati con fogli che recitano:"Qui non siete benvenuti". Ciò non toglie che in Namibia un bianco senza troppi scrupoli abbia fo ndato l'agenzia "Rent a Bushman", per gli organizzatori di festival sudafricani che vogliono "noleggiare" danzatori boscimani.L'antropologo Robert Gordon dell'Università americana del Vermont si è interrogato anche sugli aspetti psicologici di questa nost ra incapacità di conoscere i boscimani. Che sia per i loro tratti somatici pedomorfi, semplicemente perché somigliano a bambini? Che sia perché riserbando loro una speciale attenzione paternalistica ci liberiamo del senso di colpa frutto del nostro inconsapevole r azzismo? Che il mito della loro vita "naturale" giochi da necessario contraltare alla nostra crescente alienazione urbana? Tutto è p ossibile. Purtroppo lo stereotipo si perpetua. E la sua persistenza costituisce una barriera alla comprensione di un popolo in trans izione. Un popolo nomade cui è stata scippata la terra, e che per vivere di caccia, raccogliendo insetti commestibili, piante e radi ci, ne "usava" moltissima: mille chilometri quadrati, si è calcolato, per una famiglia-comunità di trenta persone. Trentaquattro chi lometri quadrati a testa. Oggi ai boscimani della Namibia è rimasto un chilometro quadrato per cinque persone. In tutta l'Africa del sud sono gli allevatori a farla da padrone; tra l'altro, il bestiame divora anche i cocomeri tsamma ( citrullus vu lgaris ) che sono le borracce selvatiche del deserto.

I boscimani di Kagga Kamma sono bellissimi. Ma hanno perduto la dignità della caccia per la sopravvivenza. Hanno perduto la sapie nza del territorio, hanno perduto la conoscenza dei veleni contenuti nelle piante e dell'acqua contenuta nelle radici. Hanno perduto la dimensione sacrale della danza, che li mandava in transe e li spingeva a creare pittografie metafisiche. Hanno perduto il loro d io-Mantide, i loro famosi sogni premonitori, la loro cultura, la loro ecologia. Ma allora, che cos'è la sopravvivenza? Quella del sa ngue o quella delle tradizioni? Quali sono i suoi indicatori, i cromosomi o la vitalità di una forma di civiltà? Altri interrogativi restano aperti. E' o non è preferibile l'estinzione fisica di un'etnia all'annientamento della sua dignità etnica? E ancora, abbiam o il diritto noi di interferire? Si può conservare una razza umana come una specie animale in pericolo? Kagga Kamma è un luogo straordinario, proprio perché ci invita anzi ci obbliga a porci queste domande. Se tuttavia è vero che la sopravvivenza del DNA senza uno spirito, è la peggiore delle estinzioni, come affermava quel turista inglese, il gioco è pesante. Perché qui con la scusa della conservazione, da una parte si foraggia un'illusione ipocrita, dall'altra un business. Quello che manca davvero è un progetto che consenta a queste persone di riconquistare l'identità perduta. Un intervento che parta da chi ora ha i me zzi per gestire il territorio dei primi abitanti del Sudafrica, nella convinzione che a salvarsi debbano anche essere anche le cultu re, che il "crimine" sia percepito non come crimine contro la biologia e la "babbuinità" ma contro la civiltà e l'umanità.