I trentini reagiscano a chi ferma l'accoglienza

20 nov 2002

I trentini reagiscano a chi ferma l'accoglienza

l'Adige, 6 gennaio 2019

Siamo in un ambulatorio pediatrico dove alcune donne indigene trentine hanno portato i loro bambini per una visita.
Una signora chiede: “Kuangàla?”
Risposta: “Laganàn”.
Hai voglia a studiare l’italiano. Se a questa divertente scenetta assistesse un senegalese, una russa o un albanese, o anche una mamma calabrese, la parlata dialettale suonerebbe incomprensibile, più simile a una lingua africana che all’idioma di Dante Alighieri. Dico questo perché a volte occorre mettersi nei panni degli altri. Accertarsi di essere compresi. E, come dicono i miei amici indiani Sioux, prima di giudicare gli altri, provare a “camminare con i loro mocassini”.

Il Trentino sta vivendo un periodo di chiusura culturale, epocale e dannosa. Per una parte della nostra popolazione l’ospitalità, la reciprocità, la memoria storica sembrano svanite. I trentini nel mondo vanno bene, ma il mondo in Trentino altolà. “Prendeteli a casa vostra” (sottinteso i forestieri) è la frase fatta. Ma vediamo un po’. Se per casa si intende veramente la casa in muratura, chi ripete questo slogan ospita forse profughi stranieri in casa propria? No. Dunque non deve liberarsi di una convivenza coatta e vissuta con fastidio. Se invece per “casa” si intende il proprio luogo di residenza, la propria provincia o la patria, dico che questa nostra provincia e questa nostra nazione sono anche “casa” mia, perché non appartengono soltanto alle persone xenofobe e inospitali.

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