Scritti

I patriarchi dell'umanità

1 gen 2021

Parliamo di etnologia, antropologia,

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I patriarchi dell'umanità

Airone, maggio 1992 - Storia di copertina

A lezione dai patriarchi dell'umanita.pdf 

A Rio de Janeiro arrivano i grandi del pianeta Terra per progettare il Terzo Millennio. Vorremmo che con loro potessero avere la parola anche gli ultimi custodi del sapere umano su cui, in tutte le epoche e in tutti i continenti, si modellavano le nuove generazioni.

Lo sciamano messicano Don Juan. Il cacciatore siberiano Dersu Uzala. Tissahami, re dei Vedda dello Sri Lanka. Il filosofo Hopi dell’Arizona Thomas Banyacya. Il cieco Ogotemmeli, enciclopedia vivente del popolo africano Dogon. Dogon. Che cosa hanno o avevano in comune questi vecchi saggi, che cosa ci hanno insegnato i Matusalemme indigeni vissuti ai quattro angoli del mondo? Il primo sa tutto della "realtà separata" che esiste parallelamente a quella ordinaria, cui si può accedere attraverso l'assunzione rituale del peyote, la gemma allucinogena del cactus Lophophora williamsii. Il secondo è una figura commovente che rappresenta una forma purissima di animismo: tutto è "uomo" per Dersu, la tigre, il fuoco, il vento. Tissahami conosce i segreti di una foresta che non gli appartiene più, quotidianamente sbocconcellata dai coloni singalesi. Banyacya, il saggio indiano Hopi, sorride degli scienziati che solo ora parlano del pianeta Terra come di un essere vivente e ha trasmesso ad Airone un'interpretazione Hopi che ci fa vedere sotto una luce diversa persino la meteorologia: "Piove quando le tribù vanno d'accordo", ovvero come porre in relazione un fenomeno atmosferico e la qualità della vita di una società, Detto per inciso, per gli Hopi, la pioggia è benedetta. Ogotemmeli poteva parlare per giornate intere di numerologia, trovando straordinarie corrispondenze tra costellazioni, la qualità dei semi, il numero delle vertebre umane e gli spazi dell'architettura tradizionale. Fortunatamente, un etnologo francese, Marcel Griaule, ha trascritto le sue parole e ora la biblioteca del mondo annovera un bellissimo e complicatissimo libretto che si chiama Dio d'acqua.
Ecco dunque la risposta, viene da sola. Ci hanno insegnato, le corrispondenze, le connessioni. Questi depositari di credenze e conoscenze che oggi rischiano l'oblio sapevano ancora trovare connessioni tra i fenomeni e le idee. Così come faceva il poeta Charles Baudelaire nelle sue Correspondances e come fanno anche la filosofia e la scienza, quando lasciano i binari delle specializzazioni del sapere. Recentemente Piero Angela ha proposto al ministero della Pubblica Istruzione di istituire un insegnamento nelle scuole italiane: lezione di connessioni, fin dalle elementari. Il fisico americano Fritjof Capra, con il suo Tao della fisica (Adelphi) ha stupito il mondo spiegando le concordanze tra la fisica subatomica e la filosofia orientale, per esempio nella concezione di un "universo dinamico" dove tutti i fenomeni sono correlati.
Dopo le connessioni, il cuore. Don Juan, scrive l'antropologo Carlos Castaneda nel libro-culto A scuola dallo stregone (Astrolabio) sintetizzava la sua conoscenza con una metafora: per lui la cosa importante era "trovare un sentiero che abbia un cuore". Questa immagine esprime un valore comune a tutti i vecchi saggi della Terra. Il "sentiero che ha un cuore" è sia quello della realizzazione personale, come ricerca della propria identità, sia quello delle scelte che coinvolgono altre persone, per chi ne ha la responsabilità.
Questi sono i messaggi dei grandi uomini senza auto blu che vorremmo simbolicamente alla presidenza del summit planetario dei capi di Stato, il 3 giugno 1992 a Rio de Janeiro, quando sarà scritta l'Agenda21 per il terzo millennio. Un invito all'elasticità mentale e una esortazione a fidarsi dei sentimenti. Eredi di saperi soffertamente consolidati, gli anziani appartenenti a tutte le etnie del mondo sono gli ultimi depositari di conoscenze che soltanto in questi anni la scienza occidentale va scoprendo; grazie a loro si parla di etnozoologia, di etnobotanica, di etnomusicologia, di etnolinguistica, di etnomedicina, di etnoecologia.
Purtroppo l'allarme lanciato dal settimanale Time è fondato. Stiamo assistendo a una emorragia di conoscenze indigene. Ogni vecchio che muore è una biblioteca che va in fumo. Le differenti culture dell'uomo evaporano per sempre. I giovani non ascoltano più i nonni, osserva un rapporto del ministero dell'Educazione americano, con la conseguenza di una drammatica caduta di qualità delle nuove generazioni. Che cosa ci possiamo fare se l'abbandono della cultura dei padri è una scelta volontaria? Ognuno ha diritto di decidere come crede quanto al suo futuro. Lo sostengono tutte le organizzazioni indigeniste, punto primo, l'autodeterminazione. Eppure tutti ci rendiamo conto della straordinaria forza di penetrazione che persino nelle aree più remote del pianeta hanno i valori propugnati con insistenza da chi percorre "sentieri senza cuore": la sete di denaro, la competitività, il consumismo senza limiti. Alcuni segmenti della nostra civiltà, che non hanno mai smesso i panni coloniali, sono responsabili di una formidabile opera di diseducazione, e alimentano una vera e propria scuola di violenza, di arrivismo, di indifferenza per le sorti del vicino mirando a dimostrare che questi sono i valori "vincenti". Dopodiché, se nel cuore della giungla dello Zaire il giovane pigmeo anziché passare la serata ascoltando il nonno che parla dei poteri delle piante guarda i macchinoni di Dallas sul televisore a batterie, di chi è la responsabilità? Di nessuno, ci autoassolviamo. E' una libera scelta.
C'è un altro aspetto che merita di essere conosciuto. Si è parlato di riscoperta dei "saperi locali" da parte della nostra scienza. Ma a quale scopo? Certo, nobile se domani da una pianta amazzonica verrà la cura contro l'Aids o il cancro. Ma che cosa accadrà quando i farmaceiros prenderanno il posto dei seringueiros? Chi li controllerà? Chi impedirà alle grandi industrie della medicina di impiantarsi nella giungla causando lo scompiglio e la destabilizzazione tra gli indios che altre imprese hanno già provocato? Occuparsi del genio dei vecchi capi indigeni solo a scopi economici, per nostro interesse, è l'ultima iniquità. Un lettore accorto, Allan Hanson, replica a Time: "Le specie vegetali non sono preziose unicamente per le loro proprietà farmacologiche, ma anche perché appartengono a un ricco sistema di idee, simboli e valori che non hanno niente a che vedere con la scienza occidentale". Aggiunge Horace Wan-kan Chin, etnologo di origine cinese che la vora a Göttingen in Germania: "Molto presto l'Occidente, estratti gli utili delle conoscenze tribali, dimenticherà i nativi. Questi personaggi non sono geni dell'ecologia, sono uomini, e come tali vanno trattati: con disinteressata e solidale attenzione. Aiutiamo chi sceglie di vivere tra di noi, evitando di farne degli emarginati. Rispettiamo e aiutiamo chi tra essi invece sceglie la vita nella foresta, coerentemente con i propri miti e la propria storia".
"Il mondo è bello perché è vario", dice il proverbio. E guai se non lo fosse. Stiamo tuttavia attraversando un'epoca di omologazione dei valori e dei consumi. Gli antropologi hanno documentato lo spettacolo della diversità, ma non basta. Conosciamo forme di società senza Stato (tra i Guayaki sudamericani), culture che valorizzano al massimo la dimensione del sogno (gli aborigeni australiani), esperienze straordinarie di stati di coscienza alterati (i cacciatori peruviani di etnia Matses), pratiche di religiosità intensissima senz'ombra di fanatismo (l'induismo a Bali). Tutto questo va difeso, non solo conosciuto e archiviato. Torna alla mente ancora Don Juan: "Perché vuoi imparare questo genere di cose?". Risponde l'antropologo: "Voler sapere non è già di per sé una buona ragione?". "No! Devi cercare nel tuo cuore il motivo per il quale vuoi sapere".
Come accade in agricoltura, oggi pochi "semi" hanno grande successo. Ma questo è rischioso. Imprevedibili avversità possono distruggere il raccolto per intero. La diversità - delle colture e delle culture - è invece garanzia di sopravvivenza, inestimabile ricchezza. Più sono i "semi" (le lingue, i miti, i simboli, le testimonianze dei patriarchi) più forti e diversificati saranno i legami dell'Uomo ai propri territori. Più cosciente e motivata la nostra passeggera presenza sulla Terra.