Scritti

Dal guidaticum al pass vaccinale

1 ago 2021

Parliamo di mobilità.

Scritti

Dal guidaticum al pass vaccinale

Dal guidaticum al pass vaccinale, l'Adige, 1 agosto 2021

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“Sono immune, sono immune!” grida Nico inginocchiandosi davanti a una pattuglia di polizia sanitaria che sta per fucilarlo. Nico è un fattorino, protagonista del film di fantascienza “Songbird”. Siamo al quarto anno di lockdown a causa del virus (mutato) Covid-23. Il coprifuoco è permanente, i rastrellamenti da parte dell’esercito sono la norma e si circola soltanto autorizzati, esibendo un braccialetto elettronico che certifica il proprio stato di salute. Pena la morte.
Be’ speriamo di no. Oggi da una parte abbiamo gente in piazza che protesta contro le limitazioni della libertà di movimento in venti città d’ Italia, Trento compresa. Dall’altra ci sono le istituzioni politiche e sanitarie che si appoggiano a una scienza in maniera dogmatica, ma non priva di incerti e di contraddizioni. Da entrambe le parti giungono richieste di rispetto e accuse di disinformazione. Un bel pasticcio.
Vorrei poter dire che il dibattito rischia di degenerare, ma in realtà è già andato oltre l’accettabile, con il virologo Burioni che irride le persone che verranno bloccate nelle loro tane chiamando “sorci” i no vax. La politicizzazione del problema Covid, con schieramenti di partito a geometria variabile, ha poi generato il patatrac, sicché ogni discussione risulta alluvionata da argomenti fuori tema, collaterali, ideologici.
I documenti lasciapassare hanno una lunga storia. Prima dell’era digitale erano cartacei, e in circostanze “carbonare” soltanto orali, semplici parole d’ordine. Le origini dei lasciapassare stanno nel guidaticum, di cui dirò tra poco, nei salvacondotti e nel passaporto che tutti conosciamo. Durante il Medioevo la mobilità di una “masnada di raminghi”, scrive lo storico Jacques Le Goff, era estrema e sconcertante. Sulla via si incontravano innumerevoli dogane e il viandante, se non godeva di particolari “privilegi” (vale a dire esenzioni accordate dalle autorità), doveva pagare pedaggi per il passaggio e per entrare in città. Nel documento intitolato “La libertà di movimento” il Centro studi Laterza spiega che intorno al XIII secolo fu istituito il guidaticum, cioè una lettera che riportava il nome del portatore, il motivo del suo viaggio e la minaccia della punizione che avrebbe colpito eventuali aggressori. Non viaggiavano soltanto i raminghi, beninteso, ma anche pellegrini e falsi pellegrini, ciarlatani, avventurieri e mercanti. Questi ultimi, in particolare, erano controllati e soggetti a balzelli e gabelle da parte delle autorità locali. Nel libro Viaggi e viaggiatori nell’Europa moderna di Antoni Maczak si trovano gustosi aneddoti sui salvacondotti accordati a una élite di turisti (li chiama proprio così), che poteva contare sul prestigio dei propri titoli nobiliari. Nei casi di epidemie (ma le notizie giungevano confusamente, un po’ come adesso) il presidio armato degli spazi pubblici e dei luoghi di transito aumentava. Pochi privilegiati, pagando, potevano ricorrere a sotterfugi come identità fittizie e salvacondotti farlocchi. Inoltre potevano contare su favoritismi e raccomandazioni da parte degli aristocratici locali, capaci di allentare i controlli. Nel 1656 le autorità venete avevano già emesso un modulo stampato, l’antenato del green pass, che dietro pagamento dichiarava sano il viaggiatore e ne definiva la provenienza esente da epidemia “grazie alla bontà del Signore Iddio”.
Uno dei leitmotiv della storia è dunque la restrizione della mobilità con lasciapassare individuali contenenti dati che oggi chiameremmo sensibili. Prima che una questione di rispetto delle regole, adeguarsi è una questione di fiducia nelle istituzioni e nel “sistema”. Tutto sommato, non stupisce che nell’Italia che tutti conosciamo, tale fiducia sia messa alla prova e per molti sia addirittura sfinita.Il cosiddetto green pass solleva diversi problemi, che provo a sintetizzare, pur sapendo che le sintesi sono pericolose perché prestano il fianco, destro e sinistro, alle stilettate. Tralasciando qui gli aspetti medici, le principali criticità del pass sanitario paiono tre. Il problema giuridico, quello etico e quello gestionale.
Il problema giuridico. I pass sembrano liberatori perché lasciano passare chi è “in regola” ma visti da un altro punto di vista sono discriminatori, perché distinguono tra gruppi di persone e impediscono di godere dei diritti civili a determinate categorie. Far dipendere l'esercizio di un qualsiasi diritto dal possesso di un requisito di carattere fisico o sanitario non è proprio una piccolezza. Senza scomodare le leggi emanate dai regimi totalitari, la letteratura sulla questione è sterminata. Rimane il fatto che, come ha ricordato il giurista Ugo Mattei, citando Stefano Rodotà, primo garante della privacy italiano, la democrazia si basa non sul consenso ma sul diritto al dissenso.
Il problema etico e antropologico. Può lo Stato entrare nelle decisioni relative ai corpi delle persone? La risposta, negativa, l’aveva già data il filosofo francese Michel Foucault nel libro Sorvegliare e punire (1975) parlando di biopotere e di biopolitica. Più terra terra, ma non meno efficace è il motto in voga nel mondo dello spettacolo My body my rules, che peraltro echeggia lo slogan femminista degli anni 80 “Io sono mia”. Dichiarazioni che come minimo fanno pensare.
Il problema pratico. I gestori di esercizi commerciali e di strutture ricettive comprensibilmente non vogliono fare i vigili. Imporre alle persone di mostrare i loro dati sanitari non è il loro lavoro. Risultato, allo stato attuale delle cose, è un conflitto sociale ed economico che si sposta sulle categorie di vaccinato e non vaccinato, di valido e invalido. Come balbetta esterrefatta Sara, la fidanzata di Nico, nel film Songbird: “Sembra di essere al cinema”. Non un bello spettacolo, ma stiamo a vedere.