Scritti

Ballare a un funerale

17 mar 2023
Scritti

Ballare a un funerale

Ballare a un funerale
l'Adige, 17 marzo 2023

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Si può ballare a un funerale? Non sarà sconveniente, cosa dirà la gente? Si può, ed è accaduto a Biarritz, nel Sud della Francia. Il fatto (e il video) hanno suscitato grande emozione, le cronache ne parlano come di un momento raro e meraviglioso. Quasi unanime l’ammirazione per quello slancio vitale di leggerezza, nella mestizia delle circostanze. Tanto più che si è trattato dell’omaggio di un uomo alla sua compagna, la professoressa Agnès Lassalle, insegnante di spagnolo in una scuola privata di Saint-Jean-de-Luz nei Pirenei, pugnalata a morte da un suo studente di 16 anni. Un crimine assurdo, e per ora inspiegabile. Stéphane Voirin, questo il nome del marito, all’uscita dalla chiesa dopo la cerimonia funebre ha iniziato a danzare, da solo, simulando un immaginario passo a due davanti alla bara della compagna. Presto è stato raggiunto da diverse coppie di amici che hanno improvvisato, con le lacrime agli occhi, una danza sulle note della canzone “Love” di Nat King Cole.
Solitamente i funerali sono occasioni cupe. La contrizione è obbligatoria, l’esuberanza è fuori luogo. Perciò l'idea di ballare per la scomparsa di una persona cara può apparire inopportuna, quasi una mancanza di rispetto. Ma a Biarritz non è andata così. Anzi, l’evento a cui i media hanno dato il meritato risalto, ha fatto riflettere molte persone sulla formalità delle esequie, spesso eccessiva e raggelante.
Con il corpo si possono dire molte cose. In diverse culture il banchetto funebre, le libagioni e la danza servono a lenire il dolore, a sciogliere le membra e a scaldare l’anima dei partecipanti.
Lo studio degli antichi riti funebri ha sempre avuto grande importanza per gli archeologi: sono le prime testimonianze della cultura umana che rivelano come gli individui e le comunità hanno fatto fronte in varie maniere allo scompiglio destabilizzante della morte.
Gli omaggi danzati in onore dei defunti hanno una storia e sono ben noti anche in antropologia, soprattutto nelle tradizioni africane. Come ricorda il folklorista Ernesto de Martino, in “Morte e pianto rituale”, i modi del cordoglio nel nostro Meridione sono demandati da sempre alle parenti del defunto o alle donne della comunità. E già l’orientalista Angelo de Gubernatis nella sua “Storia comparata degli usi funebri” (1878) scriveva: “È antica consuetudine ariana di tripudiare intorno al morto (…) Nell’inno vedico alla morte noi assistiamo al gioioso tumulto de’ vivi intorno al cadavere, un evidente scongiuro, e vi troviamo pure indicata l’usanza antichissima delle danze funebri”. Un’usanza che sopravvisse fino ai primi secoli della cristianità, perlomeno fino al Concilio di Arles dell’anno 314 che condannò come “diabolico” rallegrarsi, scomporsi o inebriarsi vicino alle tombe.
Il dolore troppo visibile spaventa e ripugna. Il soffocamento delle emozioni, in determinate circostanze, è funzionale al mantenimento dell’ordine sociale; peccato che la nostra cultura eluda, rimuova o ne censuri l’espressione proprio quando, per sopravvivere al trauma di un’irreparabile perdita, ci sarebbe più bisogno di un temporaneo “delirio”. Se scatta il blocco socioaffettivo il lutto purtroppo diventa un’esperienza privata, solitaria e quasi vergognosa. Certamente più difficile da portare.
La danza del signor Stéphane Voirin ha colpito il mondo contemporaneo perché ha rotto una sorta di tabù, o quantomeno ha squarciato un silenzio. Perché esprime la felicità del vissuto insieme alla compagna defunta, prima che un gesto violento e sconsiderato ne troncasse la vita. Quella musica e quella danza ci insegnano che a volte occorre ripensare le nostre consuetudini, vigilando affinché non diventino inerzia, se non ritualità vuote e invalidanti.